Job Digital Lab con ING Italia: la storia di Alla, ucraina, alla ricerca di un nuovo mestiere
"Ho partecipato allo Start Up Lab perché ero in cerca di un’ispirazione da mettere in pratica. Avevo bisogno di suggestioni, idee per capire come si può creare un mestiere. Ho necessità di pensare che il futuro sia possibile".
Alla Romashova ha partecipato al percorso di formazione al femminile di Job Digital Lab. La formazione che ti rimette in gioco, per aiutare le donne a sviluppare la propria impresa.
Con l'aiuto di Nicoletta Vulpetti, appassionata di racconti d'identità, arricchiamo la seconda edizione del programma formativo, ideato con ING Italia, con le storie delle persone protagoniste di un cambiamento, personale e di comunità.
Sono nata a Leopoli, in Ucraina.
Nel 2004 sono venuta in Italia e per 11 anni ho lavorato in uno dei ristoranti di McDonald’s, fino a diventare direttore di un punto vendita. Poi il mio lavoro ha preso un’altra direzione.
A Brescia aveva aperto la casa-famiglia della Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald Italia: un luogo che offre ospitalità gratuita ai bambini affetti da malattie rare o oncologiche e ai loro genitori, durante il periodo di cura in ospedale.
Ho iniziato a lavorare nella casa e nel tempo ne sono diventata responsabile.
È stato un lavoro bellissimo e insieme durissimo: nella casa ho conosciute famiglie attraversate dalla sofferenza della malattia, bambini che sono stati da noi anche tre anni a causa delle lunghe terapie.
Il nostro era già un mondo popolato da mascherine, quando ancora gli altri ne ignoravano l’esistenza.
Accompagnare il percorso delle terapie dei bambini malati significa entrare a far parte di tutto il nucleo familiare: spesso si trasferivano anche i fratellini perché le cure sono lunghe e le distanze spesso faticose e costose da colmare.
Sono vite che si stravolgono in un attimo: prima sei in pronto soccorso per un mal di schiena, poco dopo ti trovi in reparto senza neanche uno spazzolino e una diagnosi che fai fatica a pronunciare.
Nello stravolgimento che la malattia porta nelle vite comuni di gente comune, a volte ti ritrovi a essere un’ancora di salvataggio: noi della casa cercavamo di risolvere le incombenze burocratiche, i documenti da preparare, le difficoltà quotidiane che diventano montagne da scalare quando l’unico pensiero che hai è la sopravvivenza di tuo figlio.
Sono rimasta cinque anni: ricordo tutto con estrema nitidezza, ogni bambino, quelli rimasti più a lungo e quelli meno.
Tutto.
È stato pesantissimo: avevamo uno psicologo che ci aiutava a non lasciarci sopraffare dal dolore.
Dopo un’esperienza così, è inevitabile che diventi ansiosa: quando i miei figli mi dicevano che gli faceva male qualcosa, non riuscivo mai a dire “tranquillo, non sarà niente”.
Ora vorrei un lavoro tangibile, aprire un e-commerce o un sito per medici di base.
Ho partecipato allo Start Up Lab perché ero in cerca di un’ispirazione da mettere in pratica.
Avevo bisogno di suggestioni, idee per capire come si può creare un mestiere. Ho necessità di pensare che il futuro sia possibile.
Il mio Paese è in guerra: mia nipote è riuscita a scappare in Polonia, ma la mia amica dorme nelle cantine per via dei bombardamenti.
I miei cugini sono a Mariupol e non so nulla di loro dal 27 febbraio.
Dov’è Natasha? Me lo chiedono i miei figli, ma io non so rispondere.
E in questo dramma, io non posso che pensare che un futuro ci dovrà essere, per forza”.