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Un lavoro da indossare

Anna Vela
Fondazione Mondo Digitale

Un lavoro da indossare

Un lavoro da indossare

Job Digital Lab con ING Italia: la storia di Anna che cuce il futuro con la formazione.

“Il lavoro non può essere un abito che va stretto, in cui ti costringi a entrare nonostante non sia la tua taglia. Ti ci devi sentir comoda e disegnartelo addosso, per questo faccio corsi, mi aggiorno, per non sentirmi aliena in una società che cambia”.

Anna Vela è romana. Ha partecipato ai corsi di formazione di Job Digital Lab e ora frequenta lo StartUp Lab, il percorso formativo dedicato alle donne che hanno voglia di rimettersi in gioco, anche attraverso l’autoimprenditorialità [vedi la notizia Le idee delle donne].

Con l'aiuto di Nicoletta Vulpetti, appassionata di racconti d'identità, arricchiamo la seconda edizione del programma formativo, ideato con ING Italia, con le storie delle persone protagoniste di un cambiamento, personale e di comunità.

 

Ho sempre pensato che una il futuro se lo debba cucire addosso.

Devi essere consapevole delle tue possibilità e lavorarci sopra per dargli una direzione.

A 18 anni ho finito le superiori: diploma di economa dietista. Inizio a lavorare come segretaria in uno studio medico, fino al giorno in cui faccio un colloquio per un posto da informatore farmaceutico.

Non ero la tipica donna tra le poche che facevano questo mestiere. Le donne di solito erano solo esposte: la bellezza era spesso la prima voce in curriculum ad essere valutata. Ottengo il posto, avevo più di 30 anni. Lì conosco il mio mentore: un uomo dalla cultura infinita, che aveva infiniti cassetti della memoria, da cui traeva tutte le informazioni necessarie. Però si fermava davanti alle porte chiuse. Bussare alla porta di un professore era un’impresa ardua: temevi di incappare nel disagio di un rifiuto o di non essere all’altezza. Io, invece, andavo e bussavo. Come tutti gli ex timidi, avevo passato gran parte della mia adolescenza a osservare le situazioni dall’esterno: riuscivo a decodificare i segnali, anche non espliciti. Un’attitudine che mi è tornata utile nel mio lavoro: guardavo, capivo come attivare la relazione e poi il mio collega subentrava nella parte tecnica.

Abbiamo funzionato per anni in tandem. Poi lui decide di cambiare azienda e io di seguirlo. Ma inaspettatamente e dolorosamente, una notte di dicembre, Maurizio muore.

L’azienda di nutraceutici conferma la mia assunzione, nonostante io fossi incinta. Il 16 gennaio 2004 partorisco e a maggio faccio il corso di inserimento, allattando mia figlia.

Divento Capo Area degli agenti di commercio per il Centro Italia, una delle pochissime donne in tutta Italia. Sotto la mia guida, il Lazio diventa la prima regione per fatturato ed ero l’unica che riusciva a trattenere le persone che formavo, facendole sentire parte di una squadra. Ho ampliato le mie competenze, mi sono autofinanziata corsi di comunicazione.

Dopo 10 anni, quando chiedo un adeguamento economico per i risultati raggiunti, vengo congedata: questa volta, la porta si chiude alle mie spalle.

Mi sono rimboccata le maniche.

Prima della pandemia lavoravo come consulente per una società che preparava gli informatori scientifici per il mercato.

Il lavoro non può essere un abito che va stretto, in cui ti costringi a entrare nonostante non sia la tua taglia.

Ti ci devi sentir comoda e disegnartelo addosso, per questo faccio corsi, mi aggiorno, per non sentirmi aliena in una società che cambia.

Quello che imparo so che prima o poi mi tornerà utile.


Nel frattempo, non smetto di assaporare ogni momento, come quando in primavera le farfalle vengono a farmi visita sul mio balcone.

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