Con Job Digital Lab condividiamo le storie delle persone nel territorio.
Manuela Paolemilio, imprenditrice di Pescara, creatrice del brand Manùfatto, ci racconta come sia importante "prendersi cura" della propria comunità anche attraverso la creazione di oggetti fatti con le mani, che diventano "parlanti", capaci di comunicare non solo colori, odori, sapori, ma anche valori. Ha raccontato la sua storia nell’evento territoriale Job Digital Lab di Pescara, tra le imprese abruzzesi che "hanno spiccato il volo grazie alla tecnologia".
Con l'aiuto di Nicoletta Vulpetti, appassionata di racconti d'identità, arricchiamo la seconda edizione di Job Digital Lab, il programma formativo ideato con ING Italia, con le storie delle persone protagoniste di un cambiamento, personale e di comunità.
Prima ero un’assistente di volo, ma mi è sempre piaciuto creare oggetti, piccola bigiotteria che esponevo nella gioielleria di famiglia.
Poi, 10 anni fa, decido di scommettere sulla mia creatività e nasce Manùfatto, la mia impresa, che vuol dire insieme “fatto da Manu” e “fatto con le mani”.
Creo bijoux: compro le pietre, disegno i metalli e li faccio stampare da fabbriche e laboratori artigianali italiani.
Tra una fiera e un’altra, amo stare nel mio laboratorio, dove do sfogo alla mia manualità e alla mia ricerca di forme in cui racchiudere i colori, i sapori e gli odori dei luoghi che ho visitato come assistente di volo e di quelli in cui vado appena posso, per nutrirmi di stimoli nuovi.
Circa 9 anni fa è iniziata la mia avventura con i social network: prima facebook e poi instagram.
Volevo cercare un mercato più grande e mi sono detta “perché non provare nel digitale, dove c’è già tanta gente a cui mostrare le mie creazioni?”.
Così ho fatto. Ho iniziato tutto da sola, postando le mie creazioni, il lavoro dietro le quinte.
Piano piano, e con molto impegno, ho raggiunto i risultati che cercavo: l’account instagram è seguito da oltre 55 mila persone, nessuna delle quali proviene da operazioni a pagamento di acquisizione contatti.
E, ahimè, ho avuto la prova concreta che i social funzionano per ampliare il proprio mercato: tre anni fa il mio profilo è stato hackerato e nel periodo di fermo forzato, ho perso il 30% di fatturato.
Così come ho avuto la riprova che raccontare chi sei, in modo autentico, è l’unica strada per stabilire connessioni reali con chi ti segue: la nostra è una piccola comunità di persone che si vogliono bene, di cui io cerco di prendermi cura attraverso gli oggetti che creo. Durante la pandemia, ad esempio, mi sono portata metà laboratorio a casa e ho cercato di mandare un messaggio di gioia, di colore, in un momento così cupo per tutti.
Infine, non dimentico mai di ricordare alle mie clienti di essere muse di sé stesse, di non lasciare che altri le definiscano, ma di scegliere da sé gli aggettivi che vogliono.
Questa comunità digitale spesso diventa fisica: capita che molte ragazze – chi da Milano, chi dalla Svizzera, chi da ogni luogo – vengano a trovarci facendo anche una deviazione durante i loro viaggi solamente per un abbraccio e dirci “ciao, sono io”.
Ci vuole tanto impegno, ma la mattina mi sveglio felice per venire al lavoro.
Grata e felice.