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Il cuore oltre l’ostacolo

Silvia Salini, professoressa di statistica, Università degli Studi di Milano

Il cuore oltre l’ostacolo

Il cuore oltre l’ostacolo

Intervista a Silvia Salini, professoressa di statistica, Università degli Studi di Milano

Lo scorso maggio, nell’ambito del progetto Coding Girls, l’Università degli Studi di Milano ha ospitato un creathon focalizzato sulla data science, una tappa dell’iniziativa “I paradossi in statistica e i dati siamo noi”, lanciata insieme con la Società italiana di statistica e coordinata da Silvia Salini, professoressa di statistica, Università degli Studi di Milano. In quell’occasione, Cecilia Stajano scriveva “Grazie Silvia per averci generosamente aperto questo mondo. Tutti senza saperlo, quotidianamente, anche molto goffamente, facciamo valutazioni, riportiamo statistiche, e allora perché non apprendere per davvero a gestire i dati? Mi è sembrato un vero regalo e un doveroso impegno da assumere verso i giovani per renderli ancora più sapienti e liberi, dunque felici”.

Uno spunto che ci ha spinto ad approfondire la storia di Silvia Salini, con l'intervista realizzata dalla nostra Alberta Testa.

Come è nata la sua passione per la statistica? 
“Quando i miei studenti mi chiedono: “Prof, ma come le è venuto in mente di fare statistica?”, racconto sempre questa storia. Ero all’ultimo anno di scuola superiori quando entrò in vigore la legge sul controllo qualità alimentare HACCP. La mia famiglia ha un’azienda che produce salumi in Emilia Romagna, e mio padre insistette affinché partecipassi a un corso sul controllo qualità che si teneva il sabato mattina. Lì mi sono trovata a studiare i principi dell’ISO 9000 e, per la prima volta, a lavorare sulle carte di controllo statistiche. Ero l’unica ragazza in mezzo a salumieri emiliani. La digital literacy all’epoca era bassissima (parliamo del 1995), e diventai in poco tempo una sorta di mascotte: facevo le tabelle Excel per tutti e mi consideravano una “star”. Quell’esperienza mi ha fatto pensare di avere una naturale predisposizione per la statistica. Ho fatto il test d’ammissione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e sono entrata. Ma non ero affatto sicura che fosse la scelta giusta. Ho seguito l’istinto, e col tempo la mia scelta è diventata la mia strada”.

Le materie Stem sono ancora considerate ambiti prevalentemente maschili. La statistica fa eccezione? 
“Tra tutti gli indirizzi Stem, quello in statistica è forse quello a più forte componente femminile. La statistica è la scienza al servizio delle altre scienze, concreta e trasversale. Per questo scherzando dico sempre che è femmina”.

Data Science: perché tutta questa popolarità? 
“Quando mi sono laureata esistevano due figure: l’informatico e lo statistico. Il primo preparava i database, il secondo analizzava i dati. Poi chi si occupava di marketing o comunicazione costruiva strategie e scenari sui numeri. L’analisi dati era considerata importante ma non strategica. Negli anni è emersa  una vera cultura evidence based. Se non puoi misurare qualcosa, è come se non esistesse, non puoi migliorarla. Questo vale nella gestione aziendale, nella politica e in tanti altri ambiti. Oggi il data scientist è una figura multidisciplinare: deve gestire i dati come un informatico, avere competenze statistiche e matematiche, saper comunicare e conoscere il contesto operativo. È un lavoro affascinante, anche creativo. Non a caso l’Harvard Business Review l’ha definito come uno dei mestieri più sexy del nuovo millennio. La democratizzazione della statistica è avvenuta con l’avvento dei calcolatori e degli strumenti integrati nei software. Questo ha reso la competenza sui dati pervasiva e accessibile, ma ha anche creato la necessità di figure professionali in grado di interpretare correttamente questi strumenti potentissimi. Oggi non saper leggere un dato è come non saper usare una calcolatrice”.

C'è un momento della sua carriera che ricorda con particolare emozione?
“Ero la prima della mia famiglia a laurearmi e venivo da un contesto rurale. Quando ho fatto l’Erasmus in Scozia, un corso di dottorato sulle reti neurali mi colpì particolarmente. Si chiamava “System Modeling and Chaos” e l’insegnante che lo teneva era un fisico che insegnava statistica. Ripensare a lui mi ricorda quanto il ruolo di un insegnante può essere determinante nella vita di una persona
Tornata in Italia, ho proposto come tema per la tesi le reti neurali nei modelli statistici. All’epoca era un argomento pionieristico. Il professore mi disse chiaramente che avrei dovuto essere autonoma: imparare a programmare, cercare i dati. Le prime settimane ero in lacrime, pensavo di aver fatto il passo più lungo della gamba. Ma alla fine ce l’ho fatta. Mi son detta: hai lanciato il sasso, devi andare al di là del fiume. Quell’esperienza mi ha cambiato la vita: mi ha insegnato che posso farcela, anche quando tutto sembra difficile e sopra le nostre possibilità. Se non ti metti mai alla prova, non maturi consapevolezza delle tue capacità. Questo è un messaggio che cerco di trasmettere anche alle mie studentesse e studenti”. 

Un momento nella sua carriera di insegnante che le sta a cuore?
“Insegno anche alla triennale di Scienze politiche, dove molti studenti inizialmente vedono la statistica come una “seccatura”. Con gli anni ho imparato con loro un nuovo modo di insegnare. Parlare di statistica a chi proprio non ne vuol sapere è una sfida che amo, che mi appassiona. Ho in mente ragazze, che dopo il liceo classico e una laurea in area social sciences and humanitas si sono laureate in Data Science e hanno iniziato a lavorare prima ancora della tesi. Gli studenti che fanno questi percorsi hanno spesso un approccio interpretativo ai dati sorprendente. 

Un consiglio ai giovani indecisi sul proprio percorso?
“La Data Science è per tutti. Ho visto studenti che al liceo andavano male in matematica ottenere ottimi risultati all’università. La percezione di sé cambia tutto. Invito i ragazzi a guardare in prospettiva e a non limitarsi alle esperienze scolastiche passate. Le competenze sui dati oggi sono fondamentali, e chi riesce a svilupparle sarà avvantaggiato in qualunque settore scelga di operare”.

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