Percorsi di empowerment sociale, professionale, abitativo per richiedenti asilo e rifugiati nel Comune di Roma
Presso la Città Educativa di Roma sono iniziate lo scorso giugno le attività formative del progetto Abitare la città in modo competente. Accompagniamo, insieme ai partner, 90 richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale in percorsi di inclusione per farli finalmente “sentire a casa”. Il partenariato, guidato dalla Federazione delle Chiese Evangeliche (capofila), è composto da Fondazione Mondo Digitale, ActionAid International Italia e Fondazione Adecco per le Pari Opportunità.
Onelia Onorati, con l'aiuto di Francesco, operatore del servizio civile digitale, ha raccolto storie, sogni e opinioni di alcuni partecipanti. I nomi sono di fantasia per tutelarne la sicurezza.
Andrès, 45 anni, Colombia
La mia storia. “Mi trovo in Italia da aprile. Il motivo per cui sono qui è che vorrei costruirmi una vita migliore di quella che facevo prima, trovare un lavoro. Vengo da una famiglia numerosa e nel mio Paese facevo l’operaio in un’attività di vendita di calzature. Quello che mi ha spinto ad andare via, in particolare, era la percezione di una vita poco sicura: il negozio era su strada, in un contesto dove c’era molta corruzione. Faccio parte della comunità Lgbtq+ e non mi sentivo tutelato dalla sicurezza pubblica. Il mio sogno è portare qui mia sorella e mia nipote, sostenere economicamente la mia famiglia”.
L’incontro con il progetto. “Quando sono venuto a sapere del progetto grazie alla scuola di italiano, ho pensato che avrei potuto riqualificarmi per un lavoro diverso da quello che facevo, ambire a lavorare in un’azienda, ad esempio. Fin’ora mi sono esercitato con il pacchetto Office, la posta elettronica, ho imparato a lavorare con le immagini, creare il mio curriculum”.
Sanaa, 40 anni, Algeria
La mia storia. “Sono qui in Italia da due anni con mio marito e i miei due figli. Lui ha un lavoro e io no. Negli ultimi anni ci siamo spostati in tanti paesi diversi e si tratta sempre di ricominciare da capo. Vorrei anche io sentirmi parte di un tessuto umano, inserirmi. In Algeria mi sono laureata tanti anni fa in comunicazione, ma non ho mai svolto il lavoro per il quale ho studiato. Sogno di tornare nel mio Paese e di trovare il lavoro che vorrei”.
L’incontro con il progetto. “Attraverso la scuola di italiano mi sono avvicinata al percorso che arricchisce e rinverdisce le vecchie conoscenze che avevo sull’uso del digitale. Non ricordavo più come compilare un foglio di calcolo o un programma di scrittura, ad esempio! E invece questo per me è un esercizio fondamentale perché oltre a darmi una chance di inserimento in Italia, mi fa sentire più partecipe nella vita dei miei figli, che devono imparare a usare la tecnologia. Così posso anche guidarli meglio! È molto bello per me seguire le formazioni, ho trovato un ambiente umano, finalmente mi sono sentita accolta”.
Iulio, 23 anni, Sud Sudan
La mia storia. “A causa della guerra ho perso la mia famiglia a soli due anni. Dopo essere approdato in Libia, sono arrivato qui con l’aiuto dell’Unhcr. Ho scelto l’Italia perché posso formarmi nonostante la mia disabilità. È un anno e cinque mesi che sono arrivato, a settembre inizierò a frequentare la scuola secondaria di I grado. Nei primi cinque mesi del mio soggiorno qui non conoscevo nessuno. Poi tutto è cambiato quando sono entrato in una squadra di calcio amatoriale per persone con disabilità. La mia vita ha acquistato un altro ritmo: ho iniziato un torneo in giro per il Paese con trasferte a San Marino, Torino… mi diverto, sto bene. Adesso però sto pensando anche a un lavoro che mi piaccia”.
L’incontro con il progetto. “Mi piace imparare a usare i dispositivi elettronici, voglio una vita attiva e mi voglio sentire utile. Oggi mi sono esercitato a scrivere un documento e a inviarlo attraverso la posta elettronica. Sento che in questo modo mi sto semplificando la vita, sto imparando qualcosa che mi aiuterà a far parte della società. Potrò fare finalmente qualcosa di diverso da quello che sognavo all’inizio, e che non ho potuto realizzare per via della disabilità e della guerra: il meccanico”.
Saudie, 20 anni, Burkina Faso
La mia storia. “Ho avuto dei problemi familiari, in particolare mio padre ha abbandonato me, mia madre e mia sorella. Mia madre poi è morta quando avevo 14 anni, così sono rimasto solo con mia sorella, che mi ha aiutato a crescere. Con mia sorella abbiamo lasciato il nostro paese per andare in Nigeria. Lì abbiamo avuto problemi collegati al traffico di stupefacenti e siamo scappati in Libia. A 16 anni, poi, siamo arrivati su un barcone fino in Italia, a Lampedusa. All’inizio ho vissuto a Roma, dove ho studiato l’italiano, poi mi sono spostato in un piccolo paese della provincia. Nel tempo libero vado in treno fino a Roma Termini. Lì, alla stazione, incontro altri ragazzi del mio paese con cui socializzo”.
L’incontro con il progetto. “Mi piace molto quello che stiamo facendo. In Africa già sapevo usare il cellulare, ma vorrei davvero imparare bene a fare tutto quello che è possibile con il digitale. Per me questo è un modo per sviluppare tutto il mio potenziale. Però il mio sogno è quello di fare il falegname, anche se poi cerco anche altri lavori”.