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La bacchetta magica di Hogwarts e le periferie

Nicoletta Vulpetti

La bacchetta magica di Hogwarts e le periferie

La bacchetta magica di Hogwarts e le periferie

Vivi Internet, al meglio: il racconto della formatrice Nicoletta Vulpetti

Come possiamo misurare la capacità dell'organizzazione di intervenire in contesti complessi?

La valutazione di impatto conta oltre 40 modelli, ma la metodologia che amiamo di più è quella fatta di storie, il "Racconto del cambiamento in tempo reale", perché ci permette di cominciare la nostra narrazione dai primi risultati visibili (first wins) che innescano poi i processi di cambiamento a breve, medio e lungo termine. Una fonte preziosa di storie sono i formatori, che all’interno dei nostri progetti spesso coprono più ruoli: diventano educatori, facilitatori, role model, animatori territoriali…  

Oggi la formatrice Nicoletta Vulpetti ci racconta come il progetto Vivi Internet, al meglio abbia creato un contesto facilitante in una periferia romana per fare emergere un caso di cyberbullismo all’interno della scuola e come abbia reso poi possibile affrontarlo in modalità condivisa come comunità educante. Anche grazie al ruolo strategico giocato dalla formatrice…

 

Con Fondazione Mondo Digitale, la mia esperienza nelle scuole di periferia

Roma è una città molto grande: impossibile conoscerla tutta.

Quando la Fondazione Mondo Digitale mi propone di andare nelle scuole della periferia più lontana per una formazione sul cyberbullismo, non dico mai di no: mi armo di navigatore e vado.

E non c'è un solo viaggio di ritorno in cui non sia grata dell'opportunità che mi viene data. Sì, a volte mi capita di sbagliare strada, ma va bene così: se non nelle scuole più ai margini, allora dove?

Così, alla fine di maggio, ho fatto il mio ingresso in una scuola media lungo la strada per la Roma-Aquila. Era la mia prima volta lì e, con mia sorpresa, ho trovato l'aula magna gremita di genitori ad aspettarmi. Era evidente che il cyberbullismo fosse un tema sentito dalla comunità scolastica.

Di solito, sono i docenti a farsi promotori di incontri di formazione sulla cittadinanza digitale, consapevoli della necessità di affrontare il problema non solo con gli studenti, ma anche e soprattutto con i genitori. E anche se gli orari scelti per la formazione sarebbero potuti risultare scomodi, i genitori hanno risposto numerosi alla chiamata.

La partecipazione è stata da subito attenta, anche se percepivo una tensione inespressa, di cui poi ho capito l’origine: pochi giorni prima, c’era stato un episodio sgradevole proprio di fronte alla scuola. Due ragazzine si erano picchiate, ma la cosa peggiore era stata che i loro compagni, invece di intervenire e separarle, le avevano filmate per poi diffondere il video nelle chat di classe. Ovvio che dalla chat di classe, il video si è diffuso rapidamente in tutta la scuola - complici le condivisioni dei ragazzi - provocando un senso di umiliazione e difficoltà per la ragazzina aggredita.

Il padre della ragazzina, quel pomeriggio, era venuto all’incontro. Non sapeva bene cosa fare per aiutare la figlia: aveva subito riportato l'accaduto alla preside della scuola, che aveva convocato anche i genitori dell’altra ragazza coinvolta. Ma poi il papà non sapeva cosa fare da quel momento in poi e chiedeva aiuto. Non nego che per incontri di questo tipo la competenza tecnica da sola non basti.

Confesso pure che per prepararmi a incontrare genitori e ragazzi su questi temi, parlo a lungo con la mia psicoterapeuta, perché non si tratta solo di indicare cosa sia meglio scrivere o tacere sui social, ma anche di accompagnare gli adulti a farsi comunità educante in una dimensione che spesso viene considerata erroneamente “un affare da ragazzi”.

Ai genitori presenti ho consigliato di riportare in classe l’accaduto tra le due ragazze: il fatto non si esauriva tra loro due, ma coinvolgeva anche quanti avevano pensato - e agito - che il loro unico ruolo fosse quello di filmare.

Quella lite poteva essere un’occasione per crescere insieme e non solo una trasgressione da sanzionare.

E poi ho reiterato il solito mantra: dovete controllare, stare dove sono i vostri figli, almeno fino a che non avranno un’età in cui siano in grado di gestire in modo autonomo luoghi e relazioni.

Così come è impensabile portare i nostri figli decenni al parco e lasciarli da soli, allo stesso modo dovrebbe essere irragionevole lasciare che si destreggino - sempre da soli - nella dimensione digitale dai confini potenzialmente illimitati.

La settimana dopo sono tornata nella stessa scuola: questa volta avrei parlato con i ragazzi. Fuori dal cancello, mi aspettava una mamma per avvisarmi che in aula ci sarebbe stata anche la ragazzina vittima della lite: l’avevano convinta a partecipare, ma lei voleva essere invisibile, non voleva parlare.

Mi sono sentita addosso la responsabilità di ogni parola che avrei detto – ancor più del solito… – ma ero anche consapevole di poter fare qualcosa per quella ragazzina così in difficoltà: volevo aiutarla a recuperare il suo potere personale, attraverso la scelta di nuove parole capaci di ridefinire il suo ruolo in quella vicenda.

L’aula era ancora più piena della settimana precedente: tutti studenti delle medie, che vociavano e ridevano con la convinzione che hanno tutti gli studenti di non essere visti da chi è alla cattedra.

Ho cominciato chiedendo loro cosa volesse dire comunicare, che cosa mettiamo in comune con l’altro per fare amicizia e quali sono le parole che ci fanno star male.

Poi ho raccontato loro la tristissima storia di Carolina Picchio, di come “un gioco divertente” abbia annullato una vita in una notte e segnato quella di molti altri, per tutta la vita.

Come sarebbe se lo dicessero a te?

E se fossi tu quello il cui video fa il giro delle chat? Come staresti?

Ti fa piacere essere la causa della sofferenza di qualcun altro? Immagina la sera prima di addormentarti: come staresti nei suoi panni, o meglio ancora, nelle sue scarpe?

Il vociare iniziale ha lasciato a poco a poco spazio a sguardi attenti. C’è stato chi ha iniziato a dire: ci rimarrei tanto male. E poi si sono uniti i “pure io”, “è vero”, “sarebbe bruttissimo”.

È stato un momento di grande partecipazione, di empatia collettiva. I ragazzi hanno iniziato a comprendere che il cyberbullismo non è solo un gioco o uno scherzo, ma un'azione che può distruggere l'autostima e il benessere emotivo di una persona.

Ho proseguito sottolineando come le parole possano essere un atto di cura verso gli altri, e di come siano potenti, più potenti di qualsiasi bacchetta magica di Hogwarts.

Roma è una città molto grande, con una varietà di contesti e realtà che spesso rimangono nascosti.

Andare nelle scuole più remote, può fare la differenza nella vita di tanti ragazzi e ragazze.

Quindi, finché la Fondazione Mondo Digitale me lo chiederà, continuerò a sbagliare strada, a incontrare genitori, insegnanti e studenti, nella convinzione che anche una sola parola possa contribuire a illuminare direzioni fino ad allora rimaste nell’ombra.

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