Most Promising Researcher in Robotics & AI e le sfide per il futuro del Paese
La recente premiazione dei Most Promising Researcher in Robotics & AI, promossa dalla Fondazione Mondo Digitale, ha acceso i riflettori su un tema centrale per lo sviluppo del Paese: il valore strategico della ricerca scientifica. A presiedere il premio, Paolo Dario, pioniere della robotica e tra i più autorevoli scienziati italiani nel campo della bioingegneria. Proviamo a intrecciare la sua testimonianza, ricca di passione e consapevolezza, con l’analisi approfondita del Rapporto di Giulio Perani per Aspen Institute Italia, che fotografa con precisione lo stato della ricerca in Italia, tra eccellenze riconosciute e sfide strutturali da affrontare.
Dall’arretratezza all’eccellenza
“Quando ho cominciato a occuparmi di ricerca, in Italia si sparava per strada e nessuno sapeva cosa fosse la ricerca scientifica”, ricorda Paolo Dario. “E io stesso non ne sapevo molto. Ma ho deciso di restare e di esplorare strade non ancora battute”. A quel tempo il Paese era privo persino del dottorato di ricerca. Oggi, invece, Dario lo definisce “tra i più avanzati al mondo come capacità di fare ricerca”.
Il progresso è evidente, anche se il trasferimento tecnologico resta un punto debole. “Non siamo ancora ai vertici mondiali nel trasformare i risultati scientifici in applicazioni industriali e nuove imprese”, osserva. Eppure la sua fiducia resta incrollabile: “In questo Paese, se hai buone idee, quasi sempre te le lasciano fare. Bisogna imparare a orientarsi con bussole interiori: intuizione, ambizione, spirito internazionale”.
Un punto che Dario rivendica con orgoglio è la qualità dei ricercatori italiani: “Sono assolutamente al livello dei migliori del mondo, in particolare nella robotica e nell’intelligenza artificiale, ma non solo”.
I numeri della ricerca: tra primati e divari
Questa visione trova riscontro nei numeri. Secondo il Rapporto Perani, l’Italia ha investito 27,3 miliardi di euro in ricerca e sviluppo nel 2022, classificandosi terzo paese dell’Unione europea per spesa assoluta. Tuttavia, la percentuale sul Pil resta al di sotto della media: 1,39% contro il 2,77% dell’Ue. A trainare la crescita negli ultimi anni è stato soprattutto il settore privato, sostenuto da un sistema di incentivi fiscali alla R&S.
Sul piano qualitativo, la ricerca italiana è in linea con gli standard europei: gli atenei mostrano un’ottima performance in discipline come le scienze fisiche, mediche e biologiche, mentre il Paese si distingue anche nella gestione di infrastrutture scientifiche di livello internazionale, partecipando a 45 delle 66 piattaforme Esfri europee.
Le criticità strutturali: dalla fuga dei cervelli al trasferimento tecnologico
Nonostante i successi, permangono difficoltà rilevanti. Dario lo dice chiaramente: «Ci manca ancora un ecosistema forte che sappia trasformare la conoscenza in impatto concreto». Il settore manifatturiero italiano concentra ancora gran parte dell’attività inventiva, ma settori strategici come l’elettronica e il software restano sottodimensionati. L’unica eccezione è STMicroelectronics, realtà quasi isolata nel panorama nazionale.
A pesare è anche la fuga dei talenti. L’Italia registra un saldo negativo di ricercatori in uscita e una scarsa attrattività per dottorandi stranieri, che rappresentano appena il 10% degli iscritti. A ciò si aggiunge una frammentazione delle competenze tra ministeri e amministrazioni locali, e un’elevata incidenza dei costi del personale nella spesa per R&S pubblica (fino al 78% in alcuni enti), che limita gli investimenti in infrastrutture e laboratori.
Conoscenza, sinergie e visione strategica
Per Paolo Dario, il futuro dell’Italia si gioca tutto sulla conoscenza. Ed è in questa direzione che il PNRR sta cercando di spingere, con il finanziamento di partenariati estesi, centri nazionali e ecosistemi dell’innovazione, modelli di collaborazione interdisciplinare che uniscono ricerca di base, applicazione industriale e coinvolgimento territoriale.
In questo contesto, iniziative come quelle della Fondazione Mondo Digitale assumono un valore emblematico. "La qualità dei ricercatori premiati è altissima", afferma Dario. "E premi come questo sono fondamentali per riconoscere e stimolare passione, competenza e visione".
Conclusione: investire sul futuro
In un’epoca in cui la competizione globale sulla conoscenza è sempre più serrata, investire in ricerca, giovani e sinergie strategiche non è solo auspicabile: è imprescindibile. La voce di Paolo Dario e l’impegno di realtà come la Fondazione Mondo Digitale ci ricordano che il talento, in Italia, non manca. Quello che serve, ora, è un sistema in grado di crederci davvero.