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Escape room sull’acqua

Escape room sull’acqua

Escape room sull’acqua

L’appuntamento settimanale con i Docenti della scuola del noi ci porta in Toscana per conoscere Federica Tamburini, insegnante di scuola primaria, che vive e lavora a Viareggio e insegna presso l’Istituto comprensivo Marco Polo Viani (scuola primaria “Vera Vassalle”).

 

Federica applica da più di vent’anni la tecnologia nella didattica per favorire l’inclusione, lo sviluppo dell’autonomia, della creatività e delle competenze trasversali degli alunni. Adotta la metodologia Teal delle Avanguardie educative di Indire e ne è referente all'interno  della sua scuola. Svolge da molti anni anche attività di formazione per docenti in ambito locale e a livello nazionale nell’ambito della didattica digitale e per competenze, occupandosi in particolare di robotica educativa e di realtà aumentata e immersiva. Google Certified Educator livello 1 e 2 e MIE Expert, è anche Ambassador italiana di alcune app di realtà immersiva nonché membro attivo dell'associazione Epict, che da anni promuove e certifica l'uso pedagogico delle tecnologie digitali nella scuola.

 

Con il gruppo di lavoro dei Docenti della Scuola del noi Federica ha realizzato un percorso didattico, basato sulla realtà immersiva, per approfondire i temi dell’Agenda 2030 e in particolare la risorsa dell'acqua.

 

Come di consueto condividiamo un breve video di auto presentazione e poi l'intervista curata dalla ricercatrice Ilaria Gaudiello, che coordina i lavori della comunità open source dei docenti e formatori.

 

 

L'INTERVISTA

 

Federica, quale è la tua idea di “sperimentazione didattica digitale” e in che modo sei riuscita nel tempo a costruire il tuo mindset di docente innovatrice?

Penso di essere una nativa digitale ante-litteram! Ho avuto la fortuna di avere un padre, fisico, programmatore e insegnante, che si occupava di ricerca e collaborava con l’Università di Pisa in particolare con la facoltà di Informatica. A casa mia era normale vedere schede perforate, listati di programmi o tastiere da collegare a monitor con cui fare cose che, a me bambina, parevano magiche; crescendo, mio padre mi ha insegnato qualche rudimento di informatica e io piano piano ho poi approfondito: la mia innata curiosità ha fatto il resto. 

Ho iniziato presto a collaborare con il mio Comune che organizzava corsi per dipendenti e cittadini sull’uso delle suite per ufficio (siamo nei primi anni 90) e, quando poi sono diventata insegnante, per me è venuto naturale far sperimentare anche ai bambini questo tipo di approccio, sfruttando anche la mia esperienza di capo scout, abituata a mettere sempre al centro i ragazzi con un metodo attivo ed esperienziale. Naturalmente dai primi ipertesti fatti in classe alla fine degli anni 90, la tecnologia si è evoluta rapidamente ma la mia idea pedagogica ha sempre prevalso sulla corsa all’ultima novità: prima l’obiettivo da raggiungere e poi lo strumento che meglio si adatta alla classe e alla competenza da sviluppare. Nella mia esperienza ho potuto osservare infatti come l’uso attivo della tecnologia favorisca l'inclusione e aiuti nei ragazzi lo sviluppo dell’autonomia di lavoro, della curiosità, della collaborazione, della creatività, dell’approfondimento e comprensione dei contenuti didattici, della trasversalità dell’apprendimento, della gestione delle difficoltà, ovvero tutto ciò che adesso va sotto il nome di “competenze trasversali”. Per fare ciò non servono strumenti sofisticati ma una guida attenta da parte del docente che sa quando e cosa proporre e come gestire la classe. Ritengo che sia questa la vera sperimentazione: ricercare le strategie e gli strumenti più adatti per tirar fuori il meglio da ciascuno studente.

E proprio nella mia personale ricerca di aggiornamento in questa visione pedagogica che circa 12 anni fa ho incontrato lo standard EPICT (European Pedagogical ICT Licence), un progetto europeo (e non solo) nato proprio per i docenti che vogliono approfondire - e certificare - la propria competenza pedagogica nell’uso delle tecnologie digitali. Da qualche anno, collaboro anche in qualità di formatore nei corsi organizzati dal nodo italiano EPICT dell’Università di Genova e dall’associazione Epict e questo mi consente di interagire con insegnanti di tutta Italia e di ogni ordine di scuola, con un continuo confronto di metodi e approcci che costituisce per me un vero aggiornamento permanente aiutandomi certamente anche nella mia didattica quotidiana in classe. 

Nella mia classe applico ormai da qualche anno la metodologia Teal per cui i ragazzi sono chiamati spesso a creare progetti digitali trasversali in modo collaborativo: possono essere presentazioni, testi digitali ma anche e-book, video, contenuti in realtà aumentata o virtuale, semplici progetti di tinkering o robotica ecc. Questo consente ai ragazzi di affrontare i contenuti didattici in un’ottica ampia inserendoli all’interno di percorsi interdisciplinari e inclusivi che favoriscono un approccio esperienziale e multi modale, in linea con le diverse intelligenze degli studenti.

 

All’interno della community Scuola del Noi di Fondazione Mondo Digitale hai realizzato un percorso sperimentale mettendo la tua esperienza al servizio di docenti con competenze complementari alle tue. Vuoi raccontarci in breve il percorso da voi ideato?

Con il mio gruppo di lavoro, formato tutto da insegnanti di scuola primaria, ci siamo concentrati su una proposta che sfruttasse la realtà immersiva per strutturare un percorso didattico incentrato sull’Agenda 2030 e in particolare sull’acqua.

La nostra proposta didattica è pensata per studenti dai 9 ai 12 anni ed è organizzata come una sorta di Escape Room in cui, dopo una prima fase in cui la visita a un museo virtuale introduce l’argomento, i gruppi di studenti devono esplorare varie proposte create con la realtà aumentata per approfondire alcuni aspetti legati all’importanza e alla salvaguardia dell’acqua: si va dalla presenza dell’acqua nel mondo, al percorso che fa l’acqua per arrivare nelle nostre case, alla lettura delle etichette delle acque minerali fino ad arrivare agli estremi danni dovuti ai cambiamenti climatici (inondazioni e desertificazione dovuti al riscaldamento globale) e al ciclo artificiale dell’acqua nella stazione spaziale orbitante. In ogni tappa di questa esplorazione è richiesto agli alunni di ricercare alcuni dati che costituiranno poi la chiave di uscita dal percorso: naturalmente anche l’uscita sarà un’esperienza virtuale! Al termine della fase esplorativa sarà poi chiesto agli stessi alunni di diventare progettisti e autori e questo darà loro modo di sperimentare in prima persona sia la riflessione attiva sulle nostre azioni da mettere in campo per la salvaguardia dell’acqua e dell’ambiente sia la creazione di artefatti digitali aumentati.

È stata una sfida progettare attività così variegate ma che fossero alla portata anche di chi non ha alcuna esperienza di didattica immersiva: tutte le attività sono infatti semplici nella fruizione (bastano un device e un paio di app) anche se dense di contenuto didattico.

Ho scoperto compagni di viaggio fantastici con cui abbiamo intessuto da subito una grande sintonia e comunione di intenti: ognuno di noi ha condiviso la propria esperienza e professionalità e insieme abbiamo costruito una proposta che non vediamo l’ora di condividere con altre scuole. 

Quest'anno ho sperimentato io stessa questa proposta con la mia classe V riscontrando non solo grande interesse, ma osservando come la realtà aumentata e virtuale con il coinvolgimento attivo dei ragazzi sia riuscita a veicolare anche argomenti delicati e importanti rendendo l’apprendimento significativo e approfondito.

 

Facciamo un esercizio di “proiezione futura”: come immagini la community “Scuola del Noi” nel 2030?

Mi piace molto il nome di questa community: Scuola del Noi! Dà il senso di appartenenza ma anche di un qualcosa che è bene comune, che è “nostra” e alla quale tutti dobbiamo contribuire. È questa l’idea di scuola che mi piace! Vorrei che la scuola fosse davvero considerata un bene imprescindibile a cui tutti partecipino con passione. Parallelamente mi piacerebbe una scuola aperta al territorio, i cui spazi possano essere fruiti dalla comunità locale fuori dalle lezioni scolastiche e che possa diventare un luogo culturale per i contesti in cui è inserita in modo che possa essere sentita davvero come un bene di tutti e non solo come un luogo destinato agli studenti.

Penso che Fondazione Mondo Digitale, con i suoi progetti di formazione ma anche di prossimità nelle varie realtà, vada proprio in quest’ottica: mi immagino, e spero,  che alla fine di questo decennio la Community della Scuola del Noi sia radicata e diffusa in tutta Italia, contribuendo a rendere la scuola un ambiente vivace e attivo in cui imparare è bello e interessante e in cui la tecnologia favorisca i processi di apprendimento per rendere la conoscenza a portata davvero di tutti, coinvolgendo gli insegnanti in una rete sinergica e attiva.

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