Siamo al quarto appuntamento settimanale con i Docenti della scuola del noi, che abbiamo anche definito come "i-docenti", gli insegnanti dell'inclusione, che lavorano ogni giorno per non lasciare nessuno indietro.
Oggi, con un breve video e un'intervista curata da Ilaria Gaudiello, conosciamo Maria Cristina Bevilacqua, animatrice digitale e "maestra dentro".
L'INTERVISTA
Maria Cristina, la curiosità e il desiderio di perfezionamento nella formazione sembrano essere il motore della tua carriera. Cosa vuol dire insegnare per te?
Insegnare, come docente e come formatrice, vuol dire per me esercitare un’azione trasformativa: sollecitare la riflessione, far partecipare in prima persona chi apprende alla costruzione del proprio sapere, tenendo conto non solo dell’aspetto disciplinare, ma anche di quello metacognitivo. Vuol dire preoccuparsi di stimolare e potenziare la motivazione, focalizzando il lavoro anche sull’apprendimento sociale ed emotivo. Vuol dire far scoprire a chi apprende i propri talenti, per poterli mettere a frutto e contribuire al lavoro del gruppo. Cerco di scardinare il determinismo che condiziona negativamente colleghi e alunni circa il proprio ruolo, i propri stili cognitivi e di lavoro, le proprie potenzialità, i propri punti di forza e quelli di debolezza, per trasformarli in opportunità. Non sempre ci riesco, ma quando succede, è una grande soddisfazione per me e per i miei allievi… di ogni età.
Sei vincitrice del programma Pestalozzi. In che modo il digitale ti ha permesso di coniugare storiche metodologie formative e innovazione?
Il programma Pestalozzi, in un certo senso, ha rappresentato un punto di svolta nella mia professione. Mi ha indotta, ad esempio, a vincere le resistenze nei confronti di social network come Facebook (usato per l’interazione del gruppo durante i lavori legati a questo programma), facendomi scoprire le sue enormi potenzialità come luogo di incontro, di confronto, a volte di scontro, ma comunque di scambio con comunità di colleghi che mettevano a disposizione degli altri pratiche virtuali e virtuose, ma assolutamente feconde e arricchenti. Il programma Pestalozzi mi ha anche permesso di venire a contatto con la realtà scolastica finlandese che trattava temi importanti, quali la cittadinanza, o delicati, come il bullismo, quando da noi non erano ancora così rilevanti. Da Ambasciatrice eTwinning, sempre nell’ottica di dare importanza alla riflessione, ritengo che il confronto con altre culture, anche all’interno del nostro stesso paese, non può che migliorarci e arricchirci. E le molte mobilità che ho effettuato, per formare e formarmi, dal 1992, hanno confermato questa mia opinione.
Altra conclusione ferma cui sono giunta nel corso degli anni è questa: pedagogia e innovazione sono strettamente legate, come spiega bene la “Padagogy Wheel” che ho avuto il piacere di tradurre in italiano. Se riusciamo a mettere la seconda al servizio della prima, se riscopriamo e “ribaltiamo” la tassonomia di Bloom, se torniamo a considerare le app come strumenti e non come obiettivi di apprendimento, se consideriamo realmente, come ci insegna il ciclo SAMR di Puentedura, in che modo, a che scopo, stiamo usando le tecnologie, se aiutiamo i nostri alunni a raggiungere obiettivi di ordine superiore e non ci limitiamo ad informarli, li avremo aiutati non solo a sapere, ma anche a saper essere.
Collabori con Fondazione Mondo Digitale come "docente della scuola del noi" e stai creando insieme ad alcuni colleghi un percorso di didattica mista in inglese sulle fake news. Cosa vuoi trasmettere ai tuoi studenti attraverso questo percorso?
Voglio trasmettere loro l’idea che la riflessione genera consapevolezza ed è grazie alla consapevolezza che possiamo effettuare scelte autonome. Vorrei che non fossero solo passivi fruitori dei media, ma attivi organizzatori e produttori di contenuti. Mi piacerebbe che l’uso dei media li aiutasse ad attivare il pensiero critico, invece che a spegnerlo o anestetizzarlo. Vorrei che non pensassero per sentito dire e che non parlassero per slogan, che non prendessero per buono tutto ciò che vedono o ascoltano, ma che sapessero orientare le proprie scelte, che sapessero difendere le proprie idee, che si sentissero parte di una comunità che ha bisogno del loro sforzo, del loro contributo, della loro bellezza; in tre parole che diventassero cittadini attivi e responsabili.
Quale messaggio vorresti mandare alla rete dei docenti della scuola del noi?
L’Innovazione deve nascere dal basso, nelle classi reali, perché è lì che siamo tutti i giorni con gli alunni. Inoltre, l’innovazione deve essere condivisa: ottime pratiche confinate tra le mura di un’aula o di una scuola non generano crescita, ma inaridiscono e muoiono. Fare rete è importante, non solo tra scuole e tra docenti, ma con le famiglie, il territorio, le associazioni, gli enti locali. Noi siamo avanti, perché siamo Rete. Aiutiamo i nostri colleghi in tutta Italia a capirlo e a diventare Rete con noi.